sabato 20 ottobre 2007

Maurice Nio, "The amazing whale jaw", Hoofddorp (Paesi Bassi) 2003

Agli inizi del 2003 viene realizzato, nell’area antistante l’ospedale Hoofddorp’s Spaarne di Hoofddorp – nel nord ovest dell’Olanda – una stazione di autobus progettata dallo studio di architettura olandese Nio Architecten. L’edificio si trova al centro di una piazza e rappresenta uno snodo per il servizio pubblico di autobus locale.
Solitamente, questo genere di edifici sono progettati con linee essenziali, quasi neutre. In questo caso, invece, l’obiettivo era di realizzare un edificio di forte impatto visivo e di “personalità”, che fosse meno austero e generico rispetto allo standard. Ecco quindi un progetto ispirato al lavoro di Oscar Niemeyer, un progetto a cavallo tra il modernismo e il barocco.
L’edificio è realizzato completamente in schiuma di polistirene e in poliestere ed è la più grande struttura del mondo in materiale sintetico (lunga 50 metri, larga 10 e alta 5). Si è reso necessario l’utilizzo di un sistema costruttivo non tradizionale, attraverso la creazione in stabilimento delle parti finite, poi assemblate in cantiere, uniformate e levigate allo scopo di ottenere un unico oggetto.

Le risposte alle domande sulla forma del progetto e su cosa essa rappresenti sono numerose. Dal punto di vista architettonico si può descrivere come una grande roccia consumata nel tempo dal passaggio delle persone e dal traffico. Una risposta appropriata in termini di tecnica di design è che il progetto rappresenta un frutto originale dell’ingegno architettonico e che ha origine in quel terreno creativo indispensabile al lavoro di ogni architetto.


Un progetto particolare per forme ed uso del materiale, ad oggi la più grande struttura monoblocco al mondo realizzata con materiali sintetici, schiuma di polistirene e poliestere, lavorata tramite macchine a controllo numerico, divisa in blocchi ed assemblata in cantiere.
Una forma sinuosa che ne fa più un oggetto di design che un'architettura vera e propria.

mercoledì 3 ottobre 2007

Peter Cook & Colin Fournier - Kunsthaus - Graz (Austria)

Sulle rive del fiume Mur, all’angolo tra la Südtiroler Platz e il Lendkai, la nuova Kunsthaus di Graz si presenta come l’insolita composizione formata da un edificio in ghisa e vetro e da un volume biomorfico lucido e bluastro. Questo accostamento genera nel visitatore una sensazione di contraddizione e di armonica proporzione fra le componenti: un’impressione dialogica, che trova spiegazione nel proposito progettuale di definire il concetto contemporaneo di spazio espositivo.
Gli architetti Peter Cook e Colin Fournier, vincitori del concorso conclusosi nell’aprile del 2000, hanno dato vita alla sintesi tra presenza storica e sperimentazione formale, preesistenza del passato e organismo extraterrestre proveniente dal futuro.
L’Eisernes Haus, il primo edificio realizzato in Europa con elementi prefabbricati in ghisa, costituisce l’eredità storica di questa dicotomia, la struttura che genera la forma. Costruito attorno al 1847, è stato restaurato nei materiali e ripensato nella distribuzione dei volumi disponibili, per ospitare, dislocati su quattro livelli, l’ingresso principale affacciato alla Südtiroler Platz, la biglietteria, lo shop, un laboratorio di arte mediale, la sede della rivista fotografica Camera Austria e gli uffici amministrativi della nuova Kunsthaus. La “Casa di Ferro” sembra essere l’appoggio della grande bolla sospesa nella scenografia urbana di Graz.

La costruzione organica rappresenta il secondo atto dell’intervento, e si esprime con un linguaggio innovativo in termini di forma che diventa spazio. Il corpo si mostra come elemento autonomo, la cui superficie era stata concepita, in fase progettuale, come un involucro in laminato plastico traslucido integrante un sistema di comunicazione luminoso. La scelta tecnologica finale, dettata da ragioni economiche e costruttive, adotta, invece, più tradizionali pannelli di resina acrilica avvolgenti una struttura metallica, la cui tessitura è interrotta da veri e propri tentacoli, protuberanze cilindriche volte a nord ( “per catturare la luce abbiamo inciso la pelle, l’abbiamo tirata verso l’esterno e aperta permettendo al sole di entrare da nord” C.Fournier ). Il sistema BIX sviluppato dal gruppo berlinese realities:united, 930 tubi circolari fluorescenti da 40 Watt ciascuno integrati nell’intercapedine esterna, muta il colore di questa membrana in un megaschermo a bassa risoluzione capace di proiettare semplici sequenze di immagini pulsanti e flussi di testo. Ogni anello di luce ha la funzione di un pixel e può essere controllato da un elaboratore. L’organicità dell’oggetto non si ferma alla sola forma, il materiale costruttivo diventa un’interfaccia comunicativa, epidermide sensibile e mutevole nel tempo che comunica con l'esterno e mette in relazione l'"extraterrestre" con gli umani.
L’apparente nuvola sembra fluttuare, disconnessa dal terreno urbano, al di sopra dei tetti rossi a falde del contesto urbano che la circonda. Il piano terra è infatti delimitato da una vetrofacciata continua e interamente coperto dalla superficie incurvata della bolla. La sua apertura sul Lendkai, immette il visitatore nel foyer, in comune con l’Eisernes Haus, che da accesso sia ad un ambiente versatile per la lettura e la comunicazione, sia alla caffetteria, comunicante all’occorrenza con un ampio spazio multiuso. Dal foyer, con una rampa mobile, si penetra all’interno della bolla sovrastante e superando un’area dedicata alle opere degli artisti più giovani, si arriva direttamente al terzo livello che ospita la prima sala espositiva e un laboratorio di arte mediale equipaggiato con stazioni informatiche interattive. Una seconda rampa automatica conduce alla sala espositiva superiore dove le pareti ricurve dell’involucro si estendono sino a definire la copertura punteggiata dai caratteristici tentacoli. La maglia strutturale si interrompe anche in alcune zone dove un rivestimento trasparente consente la vista esterna, incorniciando la Torre dell’orologio sullo Schlossberg e la prospettiva del centro storico oltre il fiume Mur, lasciando una sorta di comunicazione con l'esterno dal quale invece si distacca totalmente per forme, materiali, tipologia strutturale, colori, sensazioni, illuminazione.

Le superfici nude, continue e avvolgenti delle interiorità, renderanno l’opera d’arte unica protagonista di questi spazi ambigui. La possibilità relazionale tra artista e visitatore sarà poi completata dall’interazione con la pelle esterna, soggetta alle metamorfosi causate dagli impulsi luminosi. Le textures visive potrebbero essere dettate dall’opera ospitata, dall’artista, dallo sponsor privato o dal visitatore stesso, sfumando la linea immaginaria di separazione tra architettura narrante e opera d’arte. Alla fine del percorso, il visitatore esce dalla nuvola ed entra in una galleria vetrata a sbalzo che si affaccia sullo spettacolare panorama cittadino circostante (
"il contrasto tra questo sottile elemento architettonico e quello organico è evidente quanto il contrasto tra un ago e la pelle" C.Fournier ).
Accostati e collegati da un breve segmento trasparente tra primo e secondo piano, il volume biomorfico e l’Eisernes Haus, sembrano voler suggerire la percezione dell’insieme. Le forme sinuose del primo si fondono organicamente con la solidità strutturale del secondo per conferire innegabile sinergia all’architettura realizzata.

A mio parere una delle più belle opere architettoniche del 21esimo secolo, fusione di nuove tecnologie, elementi strutturali, luce, visioni utopiche del passato, elementi del futuro, che si distacca dal suo intorno anche se Graz sta compiendo un passo avanti verso la contemporaneità in architettura dopo la costruzione del passaggio sul fiume Mur di Acconci Studio e della Kunsthau, forse unica realizzazione di quella utopia architettonica che era Archigram di cui lo stesso Peter Cook fu protagonista.

Zaha Hadid - Museo Mediterraneo di arti nuragiche e contemporanee - Cagliari


Lo scopo del progetto era generare un nodo degli scambi culturali che fosse, allo stesso tempo, spettacolare ingresso per chi giungesse a Cagliari dal mare.
Il nuovo museo è assimilabile ad una colonia corallina che nasce da uno scoglio, si svuota all'interno, è duro e poroso sulla superficie esterna, ma ha la capacità di far comunicare l'atmosfera esterna dell’intera città con le attività culturali in corso all’interno dell’edificio.


L'erosione forma una grande cavità all'interno della costruzione articolando il volume in una successione di spazi adibiti a mostra, a zona di aggregazione o a zona di passaggio.
La cavità interna permette la genesi di due pelli continue, una contenuta all'interno dell'altra. Il museo è disposto fra la pelle esterna e la pelle interna, caratterizzata da un sistema flessibile di ancoraggio e digitalizzazione, che permette l'uso delle pareti come superficie di esposizione o di videoproiezione.
Gli spazi di comunicazione ed i percorsi pubblici che attraversano la costruzione incrociandosi, generano la struttura fluida dell’edificio, permettendo una molteplicità incredibile di usi e di configurazioni dello spazio interno. Gli elementi verticali ed obliqui di circolazione generano zone di interferenza e di turbolenza che creano una continuità visiva fra le diverse zone del centro culturale.
La metafora vitale che governa il museo diventa chiara all'interno: come gli organismi viventi, lo sviluppo del museo sarà autoregolato. Accadrà naturalmente quando gli stati di equilibrio fra l'atmosfera economica e l'ambiente filantropico e culturale saranno raggiunti.

Il progetto può essere suddiviso in tre zone suddivise a seconda delle funzioni svolte dai vari ambienti ma anche dalle fasi di realizzazione.
La prima fase costituisce circa il 50% del nuovo centro culturale ed include la realizzazione dello spazio per eventi situato nella cavità centrale, la caverna esterna e le volte usate per le installazioni, tutti gli spazi di comunicazione, il grande corridoio di ingresso, tutti gli uffici, allo scopo di iniziare tutte le attività necessarie dell'amministrazione e vendita del museo (biblioteca, ricerca, didattica, mostra).
La seconda fase è costituita dal completamento degli spazi espositivi con altri spazi relativi alla biblioteca. Questa costruzione, nell'adesione con la costruzione della prima fase, approfitta del sistema distributivo attuale, completandolo.
La terza fase prevede l'estensione della fase 2 verso la città di Cagliari. È una costruzione isolata che accoglie i laboratori di ricerca. Sarà collegato al resto del museo tramite “una moquette di collegamento", per offrire un percorso privilegiato che collega sul mare, il centro alla città.



Dorte Mandrup - Jægersborg vandtarn - Jægersborg (Danimarca) 2006

Una torre idrica a pochi passi da Copenhagen riadattata a complesso residenziale per gli studenti dell'Università cittadina mantenendo l'intera struttura esistente costituita dalle dodici altissime colonne in cemento armato e dal serbatoio cilindrico di notevoli dimensioni.
A riempire il vuoto fra le colonne, una scultura cristallina costituita da triangoli aggettanti vetrati che si affacciano sulla città.
L'edificio si distingue per l'uso consapevole dei materiali: i piani più bassi, utilizzati come centro ricreativo sono stati insonorizzati con lana di roccia, rendendoli ben distinti dalla struttura esistente e dalle zone residenziali rivestite in alluminio anodizzato; al di sopra delle residenze un piano intermedio di colore grigio come a staccare il nuovo dal serbatoio idrico lasciato nell'originale colore rosso.
I primi quattro piani ospitano il centro ricreativo costituito da sala fitness, cucina comune, soggiorno, spazi laboratorio dove svolgere i propri hobbies e sala multimediale.

La complessa geometria dei cinque piani al di sopra del centro ricreativo, è stata suddivisa in modo tale da ottenere quasi quaranta appartamenti di due grandezze: 32 e 36 metri quadrati.
All'interno delle residenze, per ottenere un'ampia zona giorno, sono state raggruppate le funzioni di base in un blocco costituito da bagno, cucina, guardaroba, studio e zona letto.
Il soppalco ha le dimensioni di un letto a due piazze e rimane nascosto agli occhi degli ospiti che si potrebbero trovare nella zona giorno.
Le colonne di cemento e le chiusure verticali sono state dipinte di bianco, mentre i pavimenti sono tutti realizzati in linoleum giallo, eccezzion fatta per il pavimento del piano terra in linoleum nero che crea un continuum con la pavimentazione in asfalto dell'esterno e per la pavimentazione in legno dei balconi.
Gli arredi fissi che costituiscono il "blocco vita" sono tutti laccati bianchi, la cucina può essere resa invisibile con elementi frontali sempre di colore bianco.

Il volume delle residenze è chiuso da vetrate aggettanti rispetto al corpo cilindrico originario dell'edificio, che consentono un'illuminazione ideale delle residenze e una vista ampia sul panorama circostante.
I cieli danesi si ripecchiano nei bow-windows creando un'infinità di giochi di luce e riflessi cangianti al variare delle ore e delle stagioni.
Trovandosi in una zona vicina ad arterie stradali e ferroviarie di notevole importanza, si è prestata molta attenzione all'insonorizzazione degli ambienti dell'edificio: lamine termoacustiche e doppi vetri per l'insonorizzazione dei bow-windows, soffitti in cemento e legno dal potere assorbente per il centro ricreativo, valvole silenzione per gli impianti di raffrescamento e isolamento interno con sughero e linoleum per le chiusure del serbatoio idrico.

Un'idea che mi ha colpito, soluzioni funzionali ed estetiche che si sposano perfettamente senza rinunciare al confort degli abitanti, stupenda l'idea di rompere la forma cilindrica imposta dal serbatoio esistente con i solidi aggettanti e irregolari che caratterizzano l'edificio nei piani occupati dalle residenze.
La tripartizione dell'edificio secondo le loro funzioni è paragonabile alle caratteristiche degli edifici di epoca classica: una base massiccia che fa da centro ricreativo, una struttura portante verticale molto leggera costituita dalle preesistenti colonne e dagli elementi cristallini delle residenze e, al culmine, un altro pieno costituito dal serbatoio idrico.
Interessante il lavoro di questo gruppo di architetti danesi, capitanato da Dorte Mandrup, che ha ricevuto riconoscimenti a livello internazionale e che ha progettato molto, soprattutto a Copenhagen e dintorni.